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Nelle more della definizione dell’Atto di Governo n. 101, che introduce nuove disposizioni relative alla figura dell’Istruttore Professionale di Vela, così come previsto dalla riforma del Codice della Nautica da Diporto, di cui al D.Lgs. 229/2017, riproponiamo un interessante approfondimento della tematica ad opera del Prof. Roberto Pujia, Direttore del Centro Culturale L.N.I. per la Scienza, la Formazione e la Cultura Nautica.

L’articolo, già pubblicato sulla Rivista “LEGA NAVALE” del Marzo-Aprile 2018, rispecchia fedelmente la posizione della Presidenza Nazionale della Lega Navale Italiana e viene qui riproposto quale stimolo di riflessione.

 

La legge 7 ottobre 2015 n. 167 delega al governo la riforma del codice della nautica da diporto. L’art. 49 quinquies, al fine di trasmettere le conoscenze e le abilità necessarie a navigare a vela, istituisce la figura dell’istruttore di vela la cui attività è definita come una pratica “professionale” ancorché svolta non necessariamente in forma esclusiva  e/o continuativa.

Specifica, poi, che le conoscenze e le abilità che l’istruttore di vela deve possedere e saper trasmettere sono le tecniche della navigazione a vela…. Non solo: deve anche possedere e saper trasmettere queste tecniche in tutte le loro specializzazioni ed esercitate con qualsiasi tipo di unità.

C’è da spaventarsi e da indugiare sul sospetto che il legislatore possa forse essersi fatto prendere un poco la mano, nel gettare sulle spalle del povero istruttore di vela un compito così vasto e pervasivo. Un compito che, se non temperato da qualche saggia forma di interpretazione, farebbe tremare Cristoforo Colombo, Straulino e Tabarly!

E’, quindi, ragionevole pensare che nella transizione dalla sfera dei principi all’applicazione pratica si interporrà, così come avviene per tanti provvedimenti normativi, la preziosa funzione mediatrice del regolamento di applicazione.

La legge dettaglia (artt. 49 quinquies e 49 sexies), in maniera particolareggiata, i requisiti formali e psico-fisici che deve possedere l’istruttore di vela e le condizioni alle quali sono subordinati il mantenimento e il rinnovo della qualifica. Meno articolato appare, invece, il testo per quanto attiene al contenuto disciplinare concreto e alle abilità che compongono le tecniche della navigazione, le specializzazioni e i tipi di unità. 

Sappiamo che si può andar per mare in molti modi e con scopi diversi. Quella che chiamiamo genericamente cultura del mare è infatti un arcipelago talmente vasto di competenze, pratiche e modi di utilizzo dei natanti, frutto della stratificazione di secoli di pratica di vita sul mare e che, come ogni forma del rapporto dell’uomo con la natura e con la tecnica, ha subito e continua a subire processi di articolazione e specializzazione in funzione degli scopi e degli orientamenti specifici. Tanto vasto da renderne difficile una rappresentazione complessiva in un testo che ha ovviamente limiti oggettivi.

In altre parole, il modo di andar per mare e a vela di un esploratore delle coste, di un marinaio della Marina Militare, di un pescatore e quello di un atleta, pur condividendo fondamenti, conoscenze e abilità che costituiscono le condizioni necessarie di una pratica sicura e rispettosa dell’ambiente, si differenziano proprio in ragione degli scopi primari del rapporto con il mare e con la vela e rappresentano forme diverse complementari – e non alternative – per interpretare le tecniche delle navigazione a vela.

Chi istruisce gli istruttori e come

La legge individua nella Marina Militare, nella Lega Navale Italiana e nella Federazione Italiana della Vela i soggetti cui, in forma elettiva anche se non esclusiva, viene demandato il compito di preparare l’Istruttore Professionale di Vela.

Tre enti dotati di straordinari patrimoni di conoscenze, esperienze e risorse umane i quali, proprio in ragione delle tradizioni e degli scopi statutari specifici di ciascuno, interpretano e sostanziano la competenza velica, ponendo l’accento su aspetti specifici dell’andar per mare a vela. Una varietà che costituisce una grande ricchezza da conservare e tramandare.

Avremo un impoverimento se nel caratterizzare, attraverso le disposizioni specifiche del regolamento applicativo, il contenuto di conoscenze ed abilità del futuro Istruttore Professionale di Vela, costruissimo il suo profilo alla luce dello specifico accento che nel corso della sua storia, ciascuna delle tre organizzazioni ha impresso alla teoria e alla pratica della vela.

Più saggio, costruire tale profilo tecnico e didattico dotandolo di una componente necessaria, costituita da quelle conoscenze essenziali alla corretta e sicura condotta dell’imbarcazione a vela, e una componente, diciamo così, caratterizzante opzionale, costituita dallo specifico focus che ciascuna organizzazione, nel corso della sua storia, ha distillato, costruendo quello specifico accento che caratterizza gli scopi statutari di ciascuna organizzazione.

Un compito certamente non facile, ma non impossibile, se guidati da un orientamento teso a conservare e trasmettere il meglio che ciascun Ente è stato capace di costruire, allo scopo di mantenere l’identità nella diversità.

E questo ci porta a rivolgere l’attenzione ai meccanismi destinati alla definizione e comparazione dei contenuti, rappresentati fondamentalmente dal richiamo ai sistemi dei crediti.

La normativa richiama, a questo proposito, il sistema SNaQ, il quale, tuttavia, richiede di essere ben compreso nella sua struttura e nelle sue finalità e sul quale è possibile si annidino alcuni pericolosi equivoci.

In estrema sintesi, al momento della definizione dettagliata dei diversi livelli progressivi della figura dell’Istruttore di Vela (l’Istruttore di Vela Base, l’Istruttore di Vela Costiera e l’Esperto Velista) e dell’utilizzo nella valutazione delle competenze e del carico di lavoro col sistema dei crediti, occorre essere consapevoli che il SNaQ dovrà essere utilizzato con saggezza, rammentando soprattutto come ogni sistema di crediti sia uno strumento nato per poter tradurre e misurare capacità e saperi che nascono da contesti specifici, talvolta diversi, che richiedono di essere armonizzati e non rigidi apparati contenutistici.

Il nesso apparentemente necessario fra l’uso del sistema dei crediti e la particolare curvatura che di questo sistema dà il CONI, è qualcosa su cui riflettere con prudenza e attenzione. Tutti o quasi, i sistemi di valutazione in termini di crediti accademici e professionali derivano dall’ECTS (European Credit Transfer System), nato in ambito accademico come un sistema di misura del carico di lavoro, ma non come un descrittore di contenuti. Così come l’indicazione di una misura non determina di per sé la natura dell’oggetto misurato (l’atto di misurare la balumina di una randa non ci dice di che materiale è fatta quella randa), l’adozione di un sistema di crediti non determina di per sé il contenuto di conoscenze e di abilità il quale dovrà, invece, essere descritto e determinato indipendentemente, per così dire, in altro contesto e sulla base di considerazioni contenutistiche e non di misura.

Per uscire da quelli che possono apparire (ma non sono!) aspetti esclusivamente formali – comunque molto rilevanti, perché sostanziano la logica sottesa ai contenuti – e tornare alla sfera del concreto compito di preparare gli istruttori di vela professionali, abbiamo detto che ci sono molti modi di andare per mare e a vela. Si può andare per mare perché si desidera la competizione o si può andare per contemplare la natura. La competizione è un’ottima cosa e il CONI, ad esempio,  è orientato, come tutti sanno, alla competizione, ma deve essere chiaro che la competizione è uno, ma non l’unico approccio con l’attività velica. E quindi, il nesso biunivoco che sembra esserci fra il sistema dei crediti e l’agonismo è tutt’altro che l’unico possibile.

Tutti i sistemi di crediti adottati in Europa nascono fondamentalmente dalla necessità di armonizzare, non di appiattire su uno solo, pratiche di formazione e istruzione in vista della libera circolazione dei cittadini e la possibilità di esercitare nei diversi Paesi dell’Unione le attività e, soprattutto, rendere riconoscibili e traducibili, ancorché non identici, titoli di studio e competenze professionali. Dunque, un sistema di lettura assai duttile.

Quindi, se è perfettamente legittimo che nella preparazione dei propri atleti in vista della competizione, compito istituzionale del CONI, esso adotti un sistema di crediti, ciò non significa che l’utilizzo dei sistemi di crediti sia legato in sé biunivocamente all’agonismo. Sia chi va per mare per diletto, sia chi lo fa per competere in regata, deve saperlo fare in sicurezza e con competenza, ma così come non è una condizione necessaria la presenza di un avversario concorrente per fare una veleggiata, è altrettanto vero che tanto chi veleggia quanto chi regata deve sapere come si conduce correttamente e in sicurezza un’imbarcazione.

I crediti e i conseguenti sistemi sono modelli interpretativi, non normativi del reale. Non sono il contenuto, ma il sistema di misurazione del contenuto.

Concludendo queste considerazioni di principio, ritengo che la L.N.I., nel preparare i percorsi formativi dei propri esperti velisti, non stia necessariamente producendo il percorso di un tecnico sportivo orientato all’agonismo, quanto piuttosto quello di un istruttore che conosce e insegna, a vari livelli, la pratica velica e che tale pratica velica può essere orientata in più di una direzione. 

Se lo scopo fosse stato quello della perfetta identità, non ci sarebbe stato bisogno di alcun sistema di comparazione e traduzione, quale quello dei crediti.

Nella costruzione del piano didattico e nel profilo della progressione dei vari livelli di competenza, sarà necessario dedicare una scrupolosissima attenzione ai contenuti e alla didattica, consapevoli che ci sono molti possibili velisti ed esperti velisti oltre il più che legittimo atleta e campione sportivo. E forse non farebbe male ricordare che il significato originario del termine “sport” non rinvia necessariamente ed esclusivamente alla competizione, alla gara e neanche necessariamente alla sola attività ginnico-fisica, ma al diporto, come nell’espressione “fare qualcosa per sport”, ossia ad una attività il cui fine è intrinseco: è il piacere in sé e il divertimento individuale tutto interno e privo di interessi pratici economici: fare qualcosa per sport è un poco come l’arte per l’arte!