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La barca a vela come inclusione e opportunità di rilancio. Questa è l’idea al centro del progetto ideato dall’Architetto Sandro Dattilo, presidente della sezione di Reggio Calabria della Lega Navale Italiana, che ha partecipato all’ultima Barcolana con la “Evai”. La particolarità sta nell’equipaggio: tre ragazzini del carcere minorile di Reggio Calabria, addestrati per mesi dagli uomini della Lega Navale locale per apprendere le regole del mare e partecipare alla regata più grande del mondo. Il tutto a bordo di uno sloop di 12 metri, confiscato alla criminalità organizzata e rimasso a nuovo dai soci della Lega Navale a loro spese.

«Un progetto – ha dichiarato Dattilo a Leganavalenews.it – per il quale abbiamo trovato le energie e avuto il nulla osta dal ministero della Giustizia». Anche la storia dell’imbarcazione, va sottolineata: «Fino al 2014 era stata utilizzata per la tratta umana. Trasportò dalla Turchia ben sessanta disperati, in uno spazio che è piccolo anche solo per noi, e l'ultima sera una donna aveva persino partorito a bordo. Oggi la stessa barca, da strumento di morte che era, restituisce la speranza a questi giovanissimi ragazzi che possono ancora cambiare il loro futuro», ha spiegato Dattilo.

Parlando di come questi ragazzi, tra i 14 ed i 21 anni, si sono approcciati all’esperienza, Dattilo ha precisato che «l'addestramento ha preso il via a giugno. Ho rinunciato a tutte le mie ferie estive per consentire a questi ragazzi di vivere un’esperienza che si porteranno dentro a lungo e, soprattutto, che ha insegnato loro che la vela significa rispetto delle regole. All'inizio durante le lezioni erano un po' strafottenti, guardavano più i loro passatempi elettronici che il mare. Io li ho trattati da marinai, duramente nella disciplina ma con il rispetto che è dovuto a tutti gli uomini. Ora sono un vero equipaggio».

Nonostante il progetto fosse stato aperto a sette ragazzi, alla fine dell'addestramento solo Mustafà, Alessandro e Antonio hanno avuto le autorizzazioni per salpare alla volta di Trieste. «Siamo partiti da Reggio Calabria – racconta Dattilo – e attraverso cinque tappe abbiamo risalito l’Adriatico, puntando Trieste. E’ stata un’esperienza indimenticabile, anche perché da Venezia ho simulato un malore, lasciando il totale controllo ai ragazzi: se la sono cavati alla grande!»

L’obiettivo per il futuro, conferma un emozionato Dattilo, è quello di «rinnovare ed ampliare questa iniziativa». Una speranza di vita nuova, magari vista mare, è possibile per tutti.